mercoledì 5 aprile 2017

Auto elettrica a rilento: un anno fa la riapertura, ma a Termini Imerese futuro in bilico

Di seguito un reportage del quotidiano La Repubblica del 5 aprile che fa il punto, a modo suo, sullo stato attuale delle cose a Termini Imerese dopo l'ingresso della Blutec.
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In un territorio in declino Blutec per ora ha riassorbito solo 90 operai che, poi, saliranno a 700. Si guarda ancora a Fca. Nell'epoca d'oro di Fiat, qui lavoravano quasi 4mila tute blu. Adesso l'indotto è scomparso e anche le banchine del porto sono deserte. I sindacati: "Progetto troppo vago"
dal nostro inviato MARCO PATUCCHI

TERMINI IMERESE - "Sono entrato in fabbrica nel 1977, prima facevo il contadino. All'inizio lavoravo nel reparto lastratura, il più pesante, ma per noi abituati alla fatica dei campi era una passeggiata. Quando finivamo il turno tornavamo a zappare la terra". Antonio, detto "Nino", esce dal cancello della sua casa alle falde del monte San Calogero ("San Caluòru" come dicono qui), attraversa la strada e si affaccia sulla contrada Tifeo e sul mare di Termini Imerese. Là sotto lo stabilimento ex-Fiat e la centrale dell'Enel sembrano parti di un plastico. Si muove solo il fumo bianco che esce lentamente da una delle ciminiere della centrale e si perde sopra le onde. Nino lavorava nella fabbrica del periodo d'oro, quando 3400 operai facevano tre turni per produrre la Cinquecento, la 126, la Panda. Quando l'indotto occupava altre mille persone. La fabbrica più grande della Sicilia, il polmone di benessere economico per Termini Imerese e per tanti paesi delle Madonie.
Oggi Nino è in pensione, la Fiat se ne è andata da sei anni perché costruire auto a Termini costava troppo, le aziende dell'indotto sono tutte ferme e ci sono un migliaio di lavoratori attaccati con le unghie all'ultima speranza di sopravvivenza dell'impianto. Giusto un anno fa i primi venti di loro sono rientrati, poi se ne sono aggiunti settanta, altri riprenderanno da qui al 2018 quando si dovrà raggiungere la piena occupazione di 700 operai. Nel frattempo c'è la cassa integrazione prevista per le aree di crisi complessa: quindici bandierine rosse sulla mappa dello stivale che segnano la geografia del declino industriale italiano. Governo (con il braccio operativo Invitalia), sindacati, enti locali e aziende provano a disegnare, in un complicato gioco di squadra, possibili rilanci, riconversioni, bonifiche. Ma spesso sono imprese disperate in lotta con il mainstream dei mercati globali e con la latitanza della politica industriale nazionale.
[A sei anni dalla chiusura della fabbrica della Fiat, che era la più grande della Sicilia e negli anni d'oro aveva impiegato quasi 4000 addetti, il polo industriale di Termini Imerese tenta il rilancio attraverso i progetti della Blutec sull'auto elettrica. Un piano accompagnato dal governo che ha inserito Termini Imerese tra le aree di crisi complessa del Paese. Per adesso è tornato al lavoro solo un centinaio di operai e il piano prevede una piena occupazione di 700 lavoratori. Un ridimensionamento che pesa sull'economia del territorio, ma anche l'unica chance contro il declino definitivo.]

Ai cancelli dello stabilimento di Termini Imerese ora campeggia l'insegna della Blutec, l'azienda del gruppo piemontese Metec Stola (quasi 4000 dipendenti tra Brasile e Italia per un fatturato di 300 milioni di euro) che nel 2015 ha raccolto la sfida del rilancio promettendo un polo per la realizzazione di auto ibride e elettriche. La prima e unica proposta concreta arrivata dopo illusioni e bluff sparsi.


La targa che intitolava il lungomare al senatore Giovanni Agnelli non c'è più, in attesa delle pratiche del Comune che lo ribattezzerà "viale Primo Maggio Festa dei Lavoratori". Ma di lavoro, al di là di quei cancelli, ancora ce n'è poco: tra i capannoni semideserti regnano la ruggine e un silenzio interrotto solo dal rumore di auto e camion che passano, ogni tanto, sulla strada dissestata. Del centinaio di lavoratori attualmente in attività più della metà fa solo formazione mentre gli altri sono addetti alla manutenzione e sicurezza dell'impianto (macchinari, peraltro, da rinnovare completamente) o alla costruzione di contenitori per le batterie. Il cuore della prima fase del piano industriale dovrebbe sbloccarsi in questi giorni con il via alla commessa targata Fca per la conversione al motore elettrico di 1800 Fiat Doblò all'anno per quattro anni, furgoni che arriveranno a Termini Imerese dalla Turchia. Per il resto si vedrà. Obiettivi più ambiziosi restano, vaghi, sulla sfondo. Si parla anche di una possibile commessa delle Poste per la riconversione elettrica di 5000 moto Piaggio a tre ruote. C'è chi dubita sulla consistenza e la sostenibilità dell'intero progetto, ma non esistono alternative.
"C'è stato un ritardo sullo sblocco dei finanziamenti, ma ora stiamo per entrare nel vivo della prima fase - assicura l'amministratore delegato di Blutec, Cosimo Di Cursi -. Non si può vivere di ricordi, la fabbrica è stata chiusa perché era anello finale di progetti che venivano sviluppati altrove. Noi invece vogliamo sviluppare qui i prodotti, e per questo stiamo puntando sulla formazione: abbiamo trovato risorse umane ferme da cinque anni, ma anche un buon tasso di scolarità che ci consente di trasformare molti operai in progettisti. Non costruiremo auto con marchio Blutec, non è il nostro mestiere: siamo trasformatori e già lo facciamo per Volkswagen, Audi, Renault". Quanto ai finanziamenti, dei 94,8 milioni iniziali (71 di fondi pubblici e i restanti a carico di Blutec) Invitalia ne ha sbloccati 22 come acconto in attesa di veder rispettati gli altri impegni presi. La fase due del piano dovrebbe poi portare a 290 milioni complessivi l'intero investimento (almeno così si legge nelle carte del ministero dello Sviluppo relative all'area di crisi complessa).
L'operazione Doblò dimostra come il convitato di pietra a Termini Imerese continui ad essere la Fca con la quale, d'altra parte, il gruppo Metec Stola lavora da tempo: "Se possiamo aiutarli nel nostro piccolo lo facciamo", ha dichiarato Sergio Marchionne quando la fabbrica è ripartita. Ma il "loro piccolo" evidentemente si è fermato alla commessa per i Doblò che non può garantire da sola il futuro di Termini Imerese. "La Fiat in Sicilia non si è comportata bene. Ha privatizzato gli utili e socializzato le perdite - dice Maria Lo Bello, assessore alle Attività produttive della Regione -. Ora c'è Blutec e io credo al loro progetto, però ognuno dovrà fare la propria parte. Se nella fabbrica non rientrerà un lavoratore in più di quanti erano prima della chiusura, avremo fallito tutti". Anche il sindacato continua a guardare a Torino: "Un governo forte dovrebbe insistere con Fca e chiedergli di dare più lavoro a Blutec - dice Roberto Mastrosimone, dal 1988 operaio nello stabilimento di Termini Imerese e oggi distaccato per guidare la Fiom siciliana -. Ricordiamoci che è stata Fiat a staccare la spina decidendo di spostare la produzione della Ypsilon in Polonia. Un colpo mortale per questo territorio dove ora ci ritroviamo soltanto con Blutec e con l'indotto disintegrato ".
Il deserto dello stabilimento ex-Fiat lo ritrovi, a pochi chilometri di distanza, nel porto della città. Non ci sono navi, nei piazzali vuoti giocano a calcio i ragazzini. Su un molo un traghetto per Civitavecchia, malinconicamente solitario, sembra addormentato. Le banchine dovevano essere, insieme al polo industriale, il volano di sviluppo del territorio: non è andata così e ora, nel dibattito politico e tra i cittadini, c'è chi punta sulla carta del turismo, tema ricorrente in tutte le storie di declino industriale italiane. Ma sono suggestioni, perché i numeri occupazionali prevedibili sono incomparabili con quelli del manifatturiero. "Nel breve e medio periodo il turismo non può bastare - spiega Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia -: servirebbe un disegno complessivo su tutta la filiera che necessita di molto tempo. Per le aree di crisi complessa comunque abbiamo finalmente imboccato la strada giusta: non la semplice sostituzione delle aziende, ma prima di tutto la creazione dei presupposti per far tornare quei territori produttivi e attrattivi".
Da Termini Imerese, intanto, i giovani continuano ad andarsene mentre il welfare familiare, che in molti casi qui significa la pensione degli ex operai Fiat, è una delle voci principali dell'economia locale. Ma per motivi anagrafici non durerà ancora a lungo. "La Fiat mi ha cambiato la vita - racconta Giuseppe, in pensione da qualche anno - era come avere un posto in banca. Oggi mi sento ancora fortunato solo perché non ho figli".

Alle sette della sera, sulla strada tra Termini Imerese e la fabbrica, il traffico è ancora più rarefatto. Qualche cane randagio trotterella sulla spiaggia, piccoli pescherecci guadagnano il largo sfilando lungo il molo della centrale Enel. Tutto sembra sospeso nella trasparenza del tramonto. Nel nulla di un futuro indecifrabile.

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